Fitogeografia: areale del faggio
Nel nostro viaggio attraverso la vegetazione italiana, è giunto il momento di fare la conoscenza con il dominatore dell'orizzonte inferiore del piano montano, vale a dire di quella fascia altitudinale […]
Nel nostro viaggio attraverso la vegetazione italiana, è giunto il momento di fare la conoscenza con il dominatore dell'orizzonte inferiore del piano montano, vale a dire di quella fascia altitudinale che, già discretamente in quota, vede ancora il naturale dominio delle caducifoglie sulle conifere: il faggio (Fagus sylvatica).
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Un episodio di danneggiamento delle chiome: va imputato allo spirare di freddi venti primaverili che hanno disseccato le foglioline giovani
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Il «reame» del faggio inizia, lungo l'arco della catena alpina, a partire dagli 800 metri e si estende fino ai 1300. Sugli Appennini il faggio si spinge più in quota: può superare, occasionalmente, anche 1800 metri. Non mancano faggete relitte, che tuttora si conservano a bassa quota, nel Lazio (sui 400 metri) ed in Puglia (600-800 metri, la bellissima «Foresta Umbra», densa ed ombrosa). Il faggio è un albero slanciato ed elegante, alto fino a 40-50 metri, provvisto di una corteccia di un delicato grigio cenerino e di una chioma ampia e leggera; il fogliame, all'inizio della cattiva stagione, si colora di accesi toni gialli, rossicci, ocra, che spiccano vivacemente contro il blu intenso del cielo autunnale, nelle belle giornate di vento freddo e di aria tersa.
Il possesso, sulle foglie, di una cuticola assai sottile, inidonea a difendere la lamina fogliare da eccessive perdite di acqua per traspirazione, e la predilezione per temperature medio-basse, impongono al faggio esigenze di clima oceanico, quali si realizzano in ambienti collinari e montani caratterizzati da un tenore di umidità atmosferica costantemente elevato e da temperature miti in estate e basse in inverno. Scendendo a quote minori, il faggio si riduce a sopravvivere in vallette fresche, umide e ombrose, realizzando interessanti inversioni altitudinali con roverelle, roveri ed altre latifoglie (che salgono ad altezze maggiori, approfittando della migliore esposizione dei versanti rispetto ai fondovalle); diminuendo ulteriormente la quota, il faggio scompare. Alle altezze maggiori è il vento il fattore limitante: sui crinali in quota il faggio assume un portamento altoarbustivo, caratterizzato da una ramificazione contorta e da una chioma poco espansa, prevalentemente «a bandiera»: con questa denominazione si allude al fatto che, visto di lato, il fogliame appare nettamente asimmetrico: la parte esposta all'impatto del vento dominante si sviluppa meno, per il ripetuto disseccamento delle gemme e l'avvizzimento precoce delle foglie; quella a ridosso, invece, parzialmente protetta, ha più agio di espandersi (il fenomeno delle chiome «a bandiera» è frequente nelle zone ventose, già a partire dalla linea di costa).
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L'immensità di questo tronco di faggio fa apparire piccolo un capiente zaino da montagna
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Un particolare delle foglie e dei frutti del faggio
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Il faggio soffre in misura accentuata i freddi venti primaverili e le gelate tardive, dato che la formazione delle gemme fogliari è precoce e si tratta di strutture molto delicate: certi danni al fogliame, che potrebbero indurre ad ipotizzare una sorta di moria del bosco «per danni di nuovo tipo», hanno proprio questa origine e sono, ovviamente e per fortuna, temporanei. L'areale del faggio ha una gravitazione centro-europea; salendo a latitudini maggiori si verifica un progressivo abbassamento dei limiti altimetrici e poi, ovviamente, la scomparsa delle specie; scendendo al sud, nella regione mediterranea, avviene il fenomeno inverso, con la conquista di quote maggiori e con le limitazioni altitudinali già specificate. In Italia il faggio è presente in tutte le regioni salvo la Sardegna, arida, calda e ventosa; ovviamente, lungo l'arco alpino l'albero è assente nelle valli interne, caratterizzate da un clima, per lui nocivo, di tipo sub-continentale.
La faggeta ha subito in passato una notevole riduzione di superficie: tagli anche estesi vennero effettuati per ottenere legname da opera, combustibile e soprattutto per ricavare prati falciabili e pascoli; un'ovvia conseguenza dello sfruttamento di questi boschi è quindi un'amplissima estensione del ceduo rispetto alla fustaia: con la diminuzione d'interesse che in tempi recenti si è verificata per il prelievo di legname, molti cedui poveri e degradati stanno evolvendo verso l'alto fusto ma il processo è lentissimo e andrebbe accelerato, attuando i principi della selvicoltura naturalistica ed in particolare il metodo della conversione graduale: non possiamo lasciar fare ai poteri taumaturgici della natura (come vorrebbero certi «ecòfili», apprezzabili per il loro fervore, non certo per la loro – scarsa – competenza); questi processi sono inarrestabili ma possono richiedere tempi lunghissimi (e le alluvioni non attendono «il comodo» della natura).
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Sui crinali appenninici battuti dal vento il faggio assume un portamento altoarbustivo
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Il faggio, in molti territori, specie alpini, mostra una caratteristica coesistenza con l'abete bianco (Abies alba), altro albero meraviglioso per eleganza e slancio ascensionale del portamento: i fitosociologi ed i forestali parlano appunto di "Abietifagetum"; in realtà le due specie hanno entrambe necessità di poter godere di un clima oceanico ma le loro esigenze ecologiche non sono identiche.